Convenzione n. 190: il primo accordo contro le violenze sessuali sul lavoro.

Il contrasto delle violenze sessuali e delle molestie sul lavoro dovrebbe essere parte integrante di qualsiasi normativa sulla salute e la sicurezza. Eppure, la legge di molti paesi è stata per troppo tempo lacunosa. Fino a qualche anno fa, infatti, le lavoratrici e i lavoratori più a rischio erano paradossalmente i meno tutelati. Inoltre, si applicava un approccio di giustizia penale, inefficace a combattere le forme più insidiose di molestie e bullismo.  Infine, nei casi più gravi, la responsabilità dei datori di lavoro sulla salute e sicurezza neppure includeva la violenza sessuale. 

Tutti elementi riconducibili alla frequente assenza nel processo normativo di un fattore cruciale: la prospettiva di genere. 

L’azione dell’ILO contro le violenze sessuali sul lavoro.

A rompere il limbo è stata la riunione tripartita dell’International Labour Organization svolta a Geneva nell’Ottobre del 2016. In quell’occasione, esperti, parti sociali e rappresentanti politici hanno messo sul tavolo le profonde carenze normative nella tutela contro le violenze sessuali sui luoghi di lavoro. Aperto così il dibattito, il primo risultato è arrivato sei mesi dopo, con la stesura del White Report: una relazione sulle legislazioni e le prassi di 80 paesi sulla salute e sicurezza con allegato un questionario mirato sul tema. Le risposte sono state analizzate nel Marzo del 2018, quando, adottando lo Yellow Report, l’ILO ha convenuto sulla necessità di elaborare un trattato ad hoc. Da allora nel giro di un anno, si è giunti all’adozione della Convenzione n.190: il primo accordo internazionale sulle violenze e molestie sul lavoro. 

Un approccio innovativo…

Un testo innovativo che ha giustamente messo nero su bianco l’equivalenza tra violenza sessuale e violazione di un diritto umano, quello a un mondo del lavoro libero dalle molestie. A tal proposito, è previsto un sistema di obblighi, controlli ed enforcement per la piena attuazione della Convenzione. Gli Stati Parte hanno il dovere adeguare l’ordinamento interno alle disposizioni dell’ILO con una strategia inclusiva, integrata e che, finalmente, non trascuri il genere. 

…inclusivo

In primo luogo, per una legislazione capillare e trasversale, serve considerare ogni settore, soggetto e modalità di lavoro. Uno Stato non può limitarsi a considerare l’economia formale, senza tenere conto di quella informale. Così come non può agire solo nel settore pubblico senza curarsi di quello privato, o viceversa. Lo stesso vale per i soggetti. La protezione dalla violenza e dalle molestie sessuali non deve distinguere tra assunti, licenziati, tirocinanti, volontari o candidati. Anzi, l’approccio inclusivo deve spingersi oltre i canonici luoghi e tempi lavorativi. Perciò è opportuno si preoccupi degli spostamenti per recarsi a lavoro, delle attività sociali o delle comunicazioni lavorative. 

…integrato

I regolamenti e le leggi sulla salute e sicurezza sul lavoro, poi, devono essere integrati con provvedimenti complementari non solo inerenti all’occupazione. Ma anche in merito al diritto penale, alle migrazioni, alla contrattazione collettiva o al principio di non discriminazione. Sempre secondo una logica di integrazione, le stesse leggi e regolamenti non possono concentrarsi esclusivamente sull’intervento riparatorio. Oltre a garantire la certezza del diritto, con meccanismi di controllo e sanzione efficaci, è fondamentale predispongano gli strumenti di prevenzione e sensibilizzazione. 

…con una prospettiva di genere

Tuttavia, ogni disposizione rischia di cadere nel nulla di fatto se non posizionata in un’ottica di genere. È essenziale che il lavoro normativo avvenga destrutturando gli stereotipi, correggendo la disparità nei rapporti tra generi e promuovendo la parità nella formulazione di contratti e politiche. 

Nel quotidiano, questo complesso sistema di principi si concretizza in specifiche responsabilità in capo ai datori. Definita a livello statale la normativa coerente con la Convenzione, sta a loro negoziare, adottare e attuare una politica aziendale affine, attraverso la contrattazione. Dunque, grazie alla consultazione di lavoratrici e lavoratori, o dei loro rappresentanti, i datori devono identificare e valutare rischi nonché predisporre misure preventive, di controllo e formazione. Per iniziativa dell’ILO si è quindi articolata una piramide operativa che parte dalla Convenzione, si riflette sugli Stati e individua specifici doveri per i datori, ma non solo a vantaggio di chi lavora. 

Se ovviamente la dignità e la salute psicofisica di lavoratrici e lavoratori sono l’obiettivo primario del Trattato, non sono da sottovalutare i benefici per le stesse imprese in termini di reputazione, turnover o organizzazione e qualità dei rapporti di lavoro. 

La ratifica della Convenzione contro le violenze sessuali sul lavoro

Dopo l’entrata in vigore il 25 giugno del 2020, la Convenzione ad oggi, è stata ratificata da 31 Stati. Tra questi c’è anche l’Italia. Tanto è vero che nella XVIII legislatura sono stati presentati vari Disegni di Legge, finalizzati ad armonizzare parzialmente o globalmente la legislazione italiana al Trattato. Nella legislatura successiva si sono aggiunti due DDL sull’introduzione del reato penale di molestie sessuale, mentre un altro è ancora in fase di elaborazione. 

In parallelo, le parti sociali italiane hanno anticipato i tempi istituzionali, firmando nel 2016 l’Accordo Europeo del 2007. Successivamente, hanno messo a punto una guida sulle molestie e le violenze sul lavoro per il settore turistico nel 2020 e, due anni dopo, un vademecum con le città metropolitana di Torino.

Le violenze sessuali sul lavoro in Italia e nel mondo

Si tratta di un impegno politico e sociale che, nel nostro paese, è più che necessario. Secondo un’indagine ISTAT del 2018 in Italia sono 8,8 milioni le donne che hanno dichiarato di aver subito ricatti o molestie durante la loro vita. Tra questi, 1,4 milioni le ha subite sui luoghi di lavoro. Per quanto riguarda gli uomini, anche se più contenuti, i numeri sono altrettanto preoccupanti. Sono infatti 3,7 milioni gli individui di sesso maschile vittime delle stesse violenze. 

Senza dubbio, l’Italia non è un unicum. Nel 2015, nei paesi U.E. una persona su sei dichiarava di aver subito violenze, molestie e attenzioni sessuali indesiderate sul lavoro. Nel mondo, nel 2022, era il 23% delle persone intervistate. 

È chiara quindi l’estrema urgenza di una più larga ratifica della Convenzione n.190 e di una sua pronta attuazione. Ma soprattutto di una condivisa opera di monitoraggio di violenze e molestie, per una efficace valutazione delle misure adottate. 

Per questo, il Dipartimento di Politiche del lavoro, nel suo progetto “Percorsi di Sicurezza”, ha dedicato la Conferenza dello scorso 19 luglio allo studio e all’analisi sullo stato dell’arte della Convenzione n. 190. La prova di un assiduo e sincero impegno della UIL per rafforzare il ruolo del sindacato nel contrasto alle violenze sessuali sul lavoro. Perché sicurezza non si significa solo caschi e imbracature, ma anche proteggere la dignità sessuale di tutte e tutti.

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