Discriminazione sul luogo di lavoro: quale impatto su individui e comunità?

Il lavoro è sicuramente uno degli ambiti che, ci piaccia o meno, compone la nostra vita. Visto anche il buon numero di ore che ogni giorno dedichiamo al “guadagnarci da vivere” è evidente come il lavoro assuma un grande peso personale e sociale. Parte della nostra stessa identità si amalgama ed è definita dal contesto lavorativo. Ma cosa succede quando proprio a causa di ciò che sei subisci discriminazioni sul luogo di lavoro?

Quale impatto causa sulla salute del lavoratore?

Prima di entrare nel merito è bene definire cosa intendiamo quando parliamo di salute. Ci viene in soccorso la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità secondo la quale la salute è: “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattie o infermità”. Questa chiarimento sottolinea l’importanza mentale e sociale oltre che fisica della persona. Senza queste tre condizioni non si può parlare di salute.

Fatta le dovute premesse, cerchiamo di capire che cosa si intende per discriminazione sul lavoro.

Una discriminazione sul lavoro esiste ogni qualvolta uno o più lavoratori vengano ingiustificatamente trattati in modo diverso, rispetto alla generalità dei comportamenti tenuti nei confronti degli altri, per cause estranee alla sfera lavorativa in senso stretto e riconducibili all’identità di un individuo (come, ad esempio, sesso, orientamento sessuale, età, fede, caratteristiche genetiche, colore della pelle, nazionalità, convinzioni personali, etc).

Sono, in altre parole, comportamenti molesti che denigrano, umiliano e offendono la dignità della persona. Il mobbing sul lavoro è un esempio di comportamento discriminatorio prolungato nel tempo. Ogni tipo di discriminazione mina l’identità stessa dell’individuo. Non a caso, in ogni tipo di ordinamento nazionale e sovranazionale, le prime tutele normative sono sempre da rintracciarsi negli atti giuridici fondanti. In Italia è la Costituzione stessa che riconosce all’articolo 2 l’inviolabilità della persona come individuo e come espressione sociale, e all’articolo 3 la pari dignità sociale e l’uguaglianza di trattamento.

Alcune indagini mettono in luce che nel Paese circa un italiano ogni tre si sente discriminato sul luogo di lavoro. In genere, le donne sono maggiormente vittima di fenomeni discriminatori per ragioni di genere, fisiche o per motivi riconducibili a motivi legati alla famiglia o all’accudimento dei figli. Nella peggiore delle ipotesi alcuni comportamenti discriminatori sul lavoro sfociano anche in molestie e violenze sessuali . Parlando di età, sono i giovani quelli che sentono più spesso di essere vittima di discriminazioni sul lavoro. Altre pubblicazioni evidenziano, invece, le importanti discriminazioni nei confronti della comunità LGBT sia come barriere di accesso al mondo del lavoro, sia nello svolgimento dei rapporti di lavoro.

L’impatto che i comportamenti discriminatori hanno sulla salute fisica e, soprattutto, mentale possono essere devastanti. Disuguaglianze, discriminazioni e violenze sono i motivi che più di tutti alimentano l’insorgere di insicurezze, infortuni sul lavoro e malattie mentali. Quest’ultime sono oramai una piaga della nostra società. Sono oltre 300 milioni le persone che nel mondo, ad oggi, soffrono di depressione. Più di 260 milioni convivono con disturbi d’ansia. Entrambe patologie che generano forti malesseri psicofisici fino anche a comportare difficoltà cardiovascolari e respiratorie.

Ma non è tutto. Pensare che il benessere del lavoratore sia indipendente e sconnesso da quello del contesto lavorativo in sé è una follia. Laddove proliferano discriminazioni e disuguaglianze gli ambienti di lavoro diventano tossici causando – oltre ai problemi di salute fisica e mentale ai lavoratori – forte stress, incidenti sul lavoro, assenteismo, elevanti turnover e perdita della produttività. Al contrario, contesti di lavoro (e non) sani che salvaguardano il benessere psicofisico delle persone portano benefici in termini di idee, creatività, lavoro di squadra, produttività e, non ultimo, di fatturato. Dopotutto non esiste business senza lavoratori. Forse è il caso di rimettere le persone al centro dell’azienda, non i profitti.

Cosa fare quando si subisce o si assiste ad una discriminazione?

Denunciare è il primo passo. Ogni forma di discriminazione compromette le fondamenta stesse di una società civile gravando sul benessere psicofisico di individui e comunità. Restare in silenzio è, quindi, una condanna per sé stessi e per il prossimo. È opportuno, poi, rivolgersi a figure professionali o enti di mutuo soccorso in grado di analizzare e farsi carico del caso specifico per poi far valere i diritti del lavoratore.

Discriminazioni e disuguaglianze: sono fenomeni che non accennano a fermarsi, ma che ci impongono una seria riflessione sul sistema sociale e i modelli di lavoro che abbiamo creato, forse sempre meno a misura d’uomo. Ritrovare un senso di responsabilità comune è il solo modo per combattere questi vecchi-nuovi mali perché esistono battaglie, sociali e di civiltà, che possono essere vinte solamente quando lottiamo insieme, uniti.

Redazione Zero Morti

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