Salute mentale e lavoro: parla Claes Mikael Stahl, vice segretario generale della CES

Con l’avvento della pandemia, la salute mentale non è più un tabù. Ciò nonostante, non esiste ancora un quadro normativo, europeo e nazionale, ad hoc. Eppure, la necessità c’è. Numeri alla mano: l’88% dei lavoratori europei soffre di stress sui luoghi di lavoro dove nel 60% dei casi non ci sono piani di azione per prevenire il malessere psichico. In più l’economia europea perde ben 620 miliardi di euro all’anno a causa della sola depressione legata al lavoro. Sono cifre disarmanti che hanno allarmato la Confederazione Europea dei Sindacati (CES/ETUC). È il vice segretario generale Claes Mikael Stahl a raccontarci cosa si sta muovendo tra le fila sindacali di Bruxelles.

La causa scatenante dei numerosi episodi di malessere psichico a lavoro è solo stress post-traumatico dovuto alla pandemia e alla crisi economica? Oppure c’è un problema strutturale nell’organizzazione del lavoro?  

Lo stress legato al lavoro era già diventato un’epidemia prima dei lockdown decisi per combattere la diffusione del Covid-19, rappresentando più della metà di tutti i giorni lavorativi persi nell’UE.  La pandemia ha tuttavia avuto un impatto negativo sulla salute mentale dei lavoratori, non da ultimo nel settore sanitario e in altri settori dei servizi essenziali. I rischi psicosociali sono aumentati con la paura di perdere il lavoro, il timore di essere infettati, l’isolamento derivante dal lavorare da casa, la mancanza di sostegno sociale da parte di dirigenti e colleghi, l’aumento della pressione temporale e del carico di lavoro e il rischio di violenza. 

Ritiene che quanto già attuato nell’Unione Europea, nel campo dei rischi psicosociali e in particolare dello stress da lavoro, sia sufficiente? O è necessario predisporre altri strumenti legislativi per il benessere mentale dei lavoratori? 

La cosiddetta Direttiva quadro sulla SSL (Direttiva 89/391/CEE ha un ampio campo di applicazione e copre la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti del lavoro. Dovrebbe coprire anche la dimensione psicologica e i principi generali di prevenzione dovrebbero applicarsi ai rischi psicosociali (PSR). Purtroppo, il riferimento ai rischi psicosociali è solo implicito e i 30 anni di esistenza di questa direttiva non hanno portato ad alcun miglioramento nel campo dei rischi psicosociali.

L’esperienza della disomogenea attuazione dell’accordo quadro autonomo sullo stress lavoro-correlato del 2004 ha dimostrato la necessità di requisiti giuridicamente vincolanti nel campo più ampio della PSR. Un quarto degli europei soffre di stress legato al lavoro.

Inoltre, il Quadro strategico dell’UE per la salute e la sicurezza sul lavoro del 2014, pur rilevando la prevalenza dello stress tra i lavoratori europei, non approfondisce le misure di prevenzione o di gestione dei rischi psicologici.

Quali sono le misure specifiche per stranieri/disabili/donne/LGBTQI+ (i soggetti più a rischio di violenza psicologica)?

I lavoratori possono essere vulnerabili ai rischi di SSL a causa di una o di una combinazione di caratteristiche o circostanze. Spesso è la diversità degli individui, in combinazione con la precarietà del lavoro svolto, a determinare un aumento dei rischi per la SSL, compresi quelli psicosociali. Ad esempio, i lavoratori migranti possono essere maggiormente a rischio a causa delle difficoltà linguistiche, delle discriminazioni o delle molestie e dei loro lavori temporanei, poco qualificati e poco retribuiti, che sono associati a maggiori rischi psicosociali.

La Direttiva quadro del 1989 prevede che i datori di lavoro garantiscano la sicurezza e la salute di tutti i loro lavoratori e che i gruppi di lavoratori particolarmente sensibili siano protetti dai pericoli che li riguardano specificamente. I datori di lavoro sono tenuti a effettuare una valutazione dei rischi, a eliminarli e ad adattare il lavoro e il luogo di lavoro ai singoli lavoratori.

Per gestire i rischi psicosociali per i lavoratori vulnerabili, i datori di lavoro devono affrontare specificamente questi rischi e questi gruppi di lavoratori nelle loro azioni per la salute e la sicurezza. Uno dei principali strumenti per la gestione dei rischi psicosociali per i lavoratori vulnerabili è l’esecuzione da parte dei datori di lavoro di una valutazione dei rischi adeguata e dettagliata, che prenda in considerazione i rischi aggiuntivi o maggiori per gli individui o i gruppi di lavoratori che possono trovarsi in una situazione di vulnerabilità.

Le valutazioni dei rischi per i lavoratori vulnerabili devono adottare un approccio ampio e olistico e considerare rischi più ampi di quelli abituali. Ciò richiede che le persone che effettuano le valutazioni dei rischi siano formate e consapevoli dei rischi associati ai gruppi vulnerabili, come ad esempio le questioni di genere, di uguaglianza e culturali.

Salute mentale e lavoro: l’azione della CES.

Sappiamo che la CES è molto attenta ai problemi legati ai rischi psicosociali. Come si stanno muovendo i sindacati europei e quali sono le diverse posizioni?

Affrontare i rischi psicosociali attraverso un’azione legislativa che crei le condizioni per un’azione sindacale contro questi rischi è una priorità sostenuta dalla maggioranza delle organizzazioni sindacali della CES. Vale la pena ricordare che la CES gestisce, insieme a Eurocadres, una campagna denominata EndStress.EU che mira a presentare una direttiva sui rischi psicosociali. Molti sindacati di tutta l’UE sono partner di questa campagna (si veda la parte inferiore del sito https://endstress.eu/). In molti scambi di buone prassi organizzati dalla CES, da Eurocadres o nel quadro delle attività di dialogo sociale in collaborazione con le organizzazioni dei datori di lavoro, i colleghi di Danimarca, Portogallo, Spagna, Danimarca e Francia (tra i tanti) hanno presentato le migliori prassi sindacali per affrontare l’efficace prevenzione dei rischi psicosociali.

Ai tavoli di discussione con i datori, avete la percezione ci sia consapevolezza di quanto il PSR incida sui costi della “non sicurezza” per le aziende?

I dati dimostrano chiaramente che lo stress legato al lavoro e i problemi psicosociali comportano un aumento dell’assenteismo e del tasso di turnover del personale, oltre a una diminuzione della produttività e delle prestazioni. I datori di lavoro sono ben consapevoli di questo onere, eppure esistono differenze significative nell’approccio adottato per affrontarlo. Essi privilegiano gli approcci individuali piuttosto che quelli organizzativi, che si dimostrano poco efficaci se non controproducenti. Inoltre, promuovono l’idea che i cambiamenti debbano essere promossi da un approccio non vincolante, quando è dimostrato dalla ricerca dell’EU-OSHA che l’obbligo legale è l’unica ragione per cui la maggioranza dei datori di lavoro intraprende un’azione preventiva.

Quali sono le proposte della CES?

Una direttiva europea sui rischi psicosociali legati al lavoro dovrebbe includere i seguenti cinque elementi chiave:

  1. La partecipazione dei lavoratori e dei rappresentanti dei lavoratori all’ideazione e all’attuazione delle misure e al monitoraggio continuo per prevenire i rischi legati al lavoro. A tal fine, è necessario istituire organismi dedicati nei luoghi di lavoro laddove non esistono, ma anche rafforzare le prerogative dei comitati per la salute e la sicurezza esistenti, conferendo loro diritti di competenza, creando una forza lavoro sostenibile. Queste attività congiunte non devono essere un’alternativa al diritto dei sindacati di svolgere indagini e formazione in proprio.
  2. Chiarimenti sull’obbligo per i datori di lavoro di valutare e mitigare sistematicamente i fattori di rischio psicosociale per limitare l’esposizione al rischio per tutti i lavoratori, mettendo in atto misure preventive e lavorando contemporaneamente sull’organizzazione del lavoro. I datori di lavoro devono prestare particolare attenzione ai lavoratori in situazione di vulnerabilità, in particolare a quelli con disabilità e ai loro colleghi, concentrandosi sulla predisposizione di misure di mitigazione aggiuntive, se necessarie. Ad esempio, mettendo in atto misure adeguate a facilitare il ritorno al lavoro dopo l’assenza dei lavoratori.
  3. Obbligo per i datori di lavoro di fissare obiettivi e traguardi sociali per ridurre lo stress lavoro-correlato in dialogo con i dipendenti (rappresentanti dei lavoratori/rappresentanti dei lavoratori per la salute e la sicurezza). Fornendo obiettivi per affrontare lo stress lavoro-correlato, le aziende possono valutare accuratamente i successi e i fallimenti. Le valutazioni devono essere condotte a livello aziendale, nazionale ed europeo per misurare i progressi. Fondamentale per il successo di questo obiettivo sarà la definizione di indicatori per misurare e valutare le azioni legislative sul luogo di lavoro e quindi migliorare le condizioni di lavoro. Questi indicatori consentiranno ai lavoratori, ai datori di lavoro e a terze parti indipendenti di valutare il successo dell’attuazione degli obiettivi sociali sul posto di lavoro.
  4. L’accesso alla formazione deve essere garantito a tutti i lavoratori, e il personale dirigente deve ricevere una formazione specializzata per aiutare a prevenire i rischi psicosociali sul lavoro. I sindacati devono svolgere un ruolo centrale nella progettazione e nell’attuazione della formazione e delle migliori prassi, e anche le parti sociali devono assumersi la responsabilità del successo della formazione.
  5. Una direttiva deve garantire l’assenza di ripercussioni per i lavoratori che sollevano dubbi sui rischi psicosociali sul luogo di lavoro. Il successo dell’attuazione richiederà i mezzi per migliorare il funzionamento e l’efficienza degli ispettorati del lavoro, compresi ulteriori finanziamenti e formazione per garantire che gli ispettorati possano proteggere adeguatamente i lavoratori.

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