OLTRE I 35° NON SI LAVORA: LA SALUTE PRIMA DI TUTTO. 

Oltre i 35° non si lavora e si può godere della cassa integrazione. È quanto hanno ribadito con una nota congiunta INAIL e INPS, dando seguito alle direttive dell’INL sui rischi connessi alla sovraesposizione ad alte temperature. Ma non solo. In condizioni lavorative particolari, come i lavori di stesura del manto stradale o edili, la richiesta dell’integrazione salariale può fare riferimento alla temperatura “percepita”.  Infine, indipendentemente dalle temperature rilevate nei bollettini, l’Inps riconosce la cassa integrazione anche in tutti quei casi in cui il responsabile aziendale preposto alla sicurezza ritenga ci siano rischi e pericoli per i lavoratori e sia opportuno sospendere o ridurre l’attività lavorativa. 

CALDO ESTREMO E INFORTUNI

Sono provvedimenti indispensabili per salvaguardare la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Infatti, è ormai tragicamente noto che all’aumentare delle temperature, aumentano anche gli incidenti. Il calore eccessivo toglie concentrazione e riduce le energie, stressando corpo e mente. È un fattore preoccupante che, come troppo spesso accade, non può essere sottovalutato. 

Infatti, la nota di per sé, non stabilisce nulla di nuovo. Le misure emanate erano già presenti nell’ordinamento italiano, ma poco applicate. E dato il caldo estremo di questi mesi, INPS e INAIL hanno richiamato l’attenzione delle aziende e dei datori di lavoro sugli strumenti a disposizione per proteggere i propri dipendenti dallo shock termico. A tal proposito è vitale segnalare che le sedi territoriali Inps, competenti sull’istruttoria delle domande di CIGO, e la Direzione centrale ammortizzatori sociali Inps, che fornisce le indicazioni operative in materia, sono a disposizione delle imprese per ricevere una consulenza burocratica e sostanziale su tutte le fasi della procedura. 

LA PROCEDURA

A livello tecnico, nella domanda di CIGO e nella relazione tecnica da allegata alla domanda stessa, l’azienda deve solo indicare le giornate di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa specificando il tipo di lavorazione. Non è assolutamente tenuta a produrre dichiarazioni – di Arpal o di qualsiasi altro organismo certificato – che attestino l’entità della temperatura o a produrre i bollettini meteo. Questo perché l’Inps, come deciso nella legge n. 183/2011, rispetta l’espresso divieto per le amministrazioni pubbliche di chiedere al cittadino dati già in possesso di organismi pubblici. Di conseguenza sarà l’INPS stessa a reperire autonomamente d’ufficio i bollettini meteo, valutando la domanda  in base alla tipologia di attività svolta. 

Il cambiamento climatico è una realtà, anzi un‘emergenza senza precedenti. Non si tratta più di un fastidioso caldo estivo e del bisogno di bere acqua. Le alte temperature che stiamo registrando sono un serio pericolo per lavoratrici e lavoratori ed è doveroso agire prontamente per azzerare ogni rischio. INAIL e INPS hanno tracciato la strada, non resta che seguirla. 

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