Mobbing sul lavoro: cos’è e come affrontarlo

Prima o poi a tutti è capitato, almeno una volta, di essere vittima di episodi di mobbing sul lavoro. Un fenomeno relazionale e sociale molto diffuso nella nostra società. In ambito lavorativo la sua origine trova spesso causa nel modello organizzativo e valoriale dell’azienda stessa. La causa è da rintracciarsi nelle logiche di competizione, produttività e performance a tutti i costi, anche a discapito del benessere psicofisico del lavoratore. Come per qualsiasi cosa, per riuscire a tutelarsi la prima cosa da fare è capire di cosa stiamo parlando.

Quindi, che cosa si intende quando si parla di mobbing?

Il primo a parlare di mobbing con un’accezione moderna è stato lo psicologo svedese Heinz Leymann verso la fine dell’800. Secondo Leymann il mobbing consiste in una serie di azioni non etiche, fisiche e verbali, protratte nel tempo che possono sfociare anche in comportamenti ostili o aggressivi nei confronti della vittima.

In Italia questo fenomeno viene ripreso negli anni ’90 grazie al lavoro dello psicologo del lavoro Harald Ege che lo definisce come “una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori.”

Come fare a riconoscere il fenomeno del mobbing sul luogo di lavoro?

Si può parlare di mobbing sul lavoro se coesistono determinate condizioni:

  • Un comportamento vessatorio o aggressivo posto in essere nei confronti di un lavoratore (o un gruppo di lavoratori) da parte di colleghi di lavoro di pari grado, superiori o datori di lavoro (in queste due ultime circostanze si parla di “bossing”) con finalità persecutorie;
  • Ripetitività del comportamento nel tempo – quindi sono escluse singole azioni nei confronti del lavoratore – e prosecuzione dello stesso per una durata di almeno 6 mesi;
  • Si deve trattare di un problema proprio dell’ambiente di lavoro e non una sua possibile conseguenza (come nel caso di stress da lavoro o patologie derivate).

In altre parole, il mobbing sul lavoro è un comportamento intenzionale e persecutorio mirato, ripetuto e protratto nel tempo, nei confronti di un lavoratore in relazione al contesto stesso di lavoro.

Questo tipo di comportamenti generano nella vittima un forte stress, un profondo senso di disagio e umiliazione tale da avere un impatto fisico, psichico ed emotivo sulla persona. Il tutto si ripercuote con forza non solo sulla capacità del lavoratore di vivere in serenità il luogo di lavoro ed essere produttivo ma, anche e soprattutto, sulla vita familiare e sociale con gravi ripercussioni sulla salute.

Il mobbing è un fenomeno psicologico molto delicato perché pone anche una corresponsabilità in ambito lavorativo. Il mobbing avviene non soltanto a causa del soggetto che di fatto concretizza il comportamento. Spesso a renderlo possibile è anche il silenzio e l’inazione da parte degli altri colleghi che, vittime della paura, ne favoriscono il protrarsi. Ecco perché quando si parla di sicurezza sul lavoro è bene riferirsi alla cultura della sicurezza. Difficilmente, infatti, il vacillare della sicurezza in un luogo di lavoro dipenda da una sola causa.

Quali sono i riferimenti normativi per il mobbing?

In Italia manca una disciplina univoca sul fenomeno del mobbing. Manca anche il riconoscimento di uno specifico reato di mobbing che, di fatto, si può concretizzare di una varietà di tipologie e dinamiche. Entra però in gioco una pluralità di fonti normative. Anzitutto la Costituzione che riconosce la dignità della persona e la sua sicurezza. E ancora, gli articoli Codice civile, lo Statuto dei lavoratori, il Codice delle pari opportunità, il Testo unico per la sicurezza sul lavoro. A queste fonti normative si aggiungono le pronunce giurisprudenziali che nell’ordinamento italiano generano un precedente normativo.

Cosa fare quando si è vittima di fenomeni di mobbing sul lavoro?

Un primo modo per tutelarsi è sicuramente quello di non isolarsi e chiudersi in sé stessi. È importante continuare a coltivare relazioni sociali ed interessi. Il dialogo o anche la scrittura hanno, inoltre, di per sé forma terapeutica e possono, entro un certo limite, aiutare ad affrontare il problema.

Più difficile è il caso in cui si vuole entrare in giudizio per un caso di mobbing.

Data la pluralità di casi in cui si può esplicitare il fenomeno, data altresì la mancanza di una normativa specifica in merito, è chiaro che accertare il nesso tra l’intenzionalità o la colpa di fenomeni di mobbing, sue eventuali conseguenze, e lavoratore non è cosa particolarmente semplice. Di qui l’importanza di fornire delle prove a sostegno della propria accusa. Ripetitività e durata nel tempo della condotta di mobbing, intenzionalità o colpa dell’azione attuata e il nesso di causalità tra il contesto lavorativo, il comportamento e i danni riportati a causa del mobbing: tutti punti cui dare importanza.

In ogni caso è sempre bene rivolgersi a persone specializzate capaci di consigliare nel merito del caso come un legale e/o il supporto fornito dalle organizzazioni sindacali.

Purtroppo in un contesto lavorativo dove si è sempre più soggettivi a pressioni e stress psicofisici i fenomeni di mobbing trovano un terreno fertile per svilupparsi. Proprio per questo, come società e come singoli, non possiamo chiudere gli occhi dinnanzi a questa comune problematica capace di rovinare la vita di una persona. Dobbiamo tutti insieme creare una nuova cultura del lavoro che riporti al centro la dignità e la vita della persona. Noi puntiamo a questo ma solamente insieme, con l’impegno di tutti, possiamo davvero riuscirci.

Redazione Zero Morti

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