Cos’è lo stress da lavoro correlato

Secondo l’Inail lo stress da lavoro correlato è legato all’attività lavorativa che si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle, o controllarle. Gli ultimi dati, influenzati senz’altro dalla Pandemia, mostrano che sono sempre di più le persone sottoposte ad un forte rischio da stress per l’ambiente di lavoro. Ne abbiamo parlato con il dott. Carlo Bisio, psicologo del lavoro e formatore specializzato nel management della sicurezza sul lavoro e del benessere organizzativo.

Dott. Bisio, che cos’è lo stress da lavoro correlato e cosa prevede attualmente il quadro normativo in Italia?

Il tema dello stress è diventato sempre più importante negli ultimi decenni. È considerato uno dei rischi emergenti più significativi.

Lo stress da lavoro correlato viene spesso definito, nelle pubblicazioni divulgative e nelle fonti normative, come una condizione in cui una persona percepisce una differenza significativa fra le richieste che giungono dall’ambiente e le risorse e capacità che ha a disposizione per fronteggiare tali richieste.

In sé, lo stress non è un fenomeno negativo, è un meccanismo virtuoso che ci consente un migliore adattamento all’ambiente che ci circonda (di lavoro o meno). A certe condizioni di intensità e durata può diventare, e spesso diventa, un problema per la salute e la sicurezza delle persone.

Si tratta di un fenomeno soggettivo, che ha però delle radici nelle caratteristiche dell’ambiente. Parlando di stress sul lavoro, tali radici sono molti aspetti dell’organizzazione del lavoro, delle relazioni lavorative, dell’ambiente fisico.

La norma in Italia prevede che le aziende trattino lo stress come gli altri rischi, nel senso di svolgere una valutazione del rischio e individuare adeguate misure per la sua riduzione.

Il Decreto 81 si limita a esplicitare l’obbligatorietà di tale valutazione e gestione del rischio per il Datore di lavoro, che dovrà operare secondo le indicazioni dell’Accordo europeo fra le parti sociali sullo stress del 2004; una successiva Circolare ministeriale ha fatto chiarezza circa le modalità operative per assolvere l’obbligo.

In questa circolare, si dice che occorre procedere a valutare il rischio dopo avere individuato gruppi omogenei di lavoratori, e che occorre in prima istanza procedere a una valutazione di tipo obiettivo che analizzi le condizioni di lavoro e organizzative, nonché alcuni indicatori, definiti eventi sentinella, potenzialmente collegati allo stress, a suoi fattori o a suoi impatti. Una valutazione approfondita che produca l’espressione di punti di vista soggettivi da parte del personale esposto diventa obbligatoria in determinati casi, ma non è vietata negli altri casi.

Un successivo documento INAIL (rivisto poi nel 2017), il cui utilizzo non è cogente, ha fornito una metodologia per procedere alla valutazione di questo rischio, che in questo momento è la più utilizzata, sebbene non scevra da critiche.

Quali sono le tendenze attuali riguardo ai fattori psicosociali di rischio e al benessere organizzativo?

A livello internazionale si vede un’interessante evoluzione di documenti e di prassi, che in generale cambiano il modo di intendere lo stress da lavoro correlato.

Il principale passaggio è quello di non parlare solo di stress, ma di parlare più in generale di fattori psicosociali di rischio, dei quali lo stress fa parte. Non è una tendenza recentissima, ma è sempre più marcata.

La recentissima norma internazionale ISO 45003 ad esempio, pubblicata nel giugno del 2021, riguarda la gestione dei fattori psicosociali e della salute mentale sul lavoro, includendo fattori collegabili allo stress ma anche altri fenomeni come quello delle violenze.

A proposito delle violenze sul lavoro, va detto che la Convenzione ILO 190 del 2019, recentemente ratificata dall’Italia, richiederà uno sviluppo di norme e di sensibilità e competenze verso questo specifico tema, molto attuale e decisamente poco considerato, in special modo nell’ambito delle prassi di sicurezza e salute sul lavoro.

Fra gli sviluppi recenti includerei anche l’importanza del tema della salute mentale che la pandemia covid ha messo in luce; la salute mentale è infatti da considerare un’emergenza dentro l’emergenza; si teme che molti effetti psicologici della pandemia saranno visibili per lungo tempo.

Infine, rammenterei il sempre più consolidato collegamento che gli esperti e le fonti internazionali descrivono fra i fattori psicosociali di rischio e le problematiche muscoloscheletriche, sia per chi svolge lavori che comportano un lavoro muscolare per sollevamenti, spostamenti, movimenti ripetuti, sia per chi utilizza i videoterminali con continuità.

Rispetto agli strumenti che vengono utilizzati per valutare il rischio stress, cosa andrebbe implementato?

Il limite principale che ostacola oggi nelle organizzazioni la realizzazione di prassi virtuose a valore aggiunto è senza dubbio di origine culturale, legato al fatto che l’importanza della tematica dello stress non viene compresa o viene decisamente sottostimata. Si cerca, quindi, di assolvere un obbligo in modo formale o poco più.

Detto questo, occorrerebbe sicuramente dare una maggiore modernità al metodo INAIL, che sebbene rivisto nel 2017 rischia ormai di essere obsoleto, se non altro per tutte le problematiche che sono emerse dal covid, ma non solo per quelle.

Strumenti migliori si trovano talvolta presso professionisti che hanno saputo lavorare bene sul tema, ma non hanno la stessa visibilità del metodo INAIL.

Il periodo della produzione normativa sullo stress in Italia è stato prevalentemente nel periodo successivo all’uscita del Decreto 81 fino al 2011, con chiarimenti e adattamenti minori successivi. Anche una revisione della normativa dopo più di dieci anni, e dopo che il mondo intero è cambiato, sarebbe opportuna.

Qual è il collegamento tra stress e infortuni sul lavoro?

È un collegamento importante, e decisamente sottovalutato. Lo stress, infatti, viene generalmente visto soprattutto come problema di ‘salute’ e solo talvolta come un problema di ‘sicurezza’.

In realtà lo stress può contribuire in modo diretto al verificarsi di incidenti, tramite la fatica mentale e le sue conseguenze sui comportamenti. Può anche contribuire in modo indiretto tramite l’assenteismo, che richiede uno sforzo organizzativo maggiore, tramite un deterioramento del clima, che può portare a una carente collaborazione, o tramite molti altri fenomeni.

La recente ISO 45003 cita in modo molto chiaro il fatto che i fattori psicosociali possono avere un effetto sull’esposizione agli altri rischi.

Qual è stato l’impatto della pandemia covid e cosa hanno fatto le organizzazioni?

Nel periodo pandemico le restrizioni e le incertezze hanno comportato per molte persone la comparsa o l’aumento di problemi di salute mentale, non solo stress ma anche depressione ad esempio.

L’OMS ha compreso questo aspetto della pandemia e ha prodotto raccomandazioni e indicazioni per farsene carico.

Per quanto riguarda le aziende, si riscontra che spesso hanno reagito in modo più efficace quelle che erano già sensibili al tema in precedenza, con una decisa sottovalutazione e inazione da parte di molte altre.

Fra le azioni svolte, c’è stata l’istituzione o il potenziamento di servizi di ascolto e di supporto ai dipendenti da parte di professionisti indipendenti dall’azienda; oppure in misura minore il coinvolgimento di gruppi di lavoratori nella comprensione delle difficoltà organizzative e soggettive e nella produzione di azioni per il miglioramento.

Anche la ISO 45005, uscita nel 2020 per supportare le organizzazioni di fronte al covid per gli aspetti di sicurezza e salute, ha fornito interessanti indicazioni per la parte di salute psicologica.

Redazione Zero Morti

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