La sicurezza sul lavoro: un diritto universale

La sicurezza sul lavoro deve essere un diritto universale. Ne parliamo con Owen Tudor, Segretario Generale Aggiunto della CSI – Confederazione Internazionale dei sindacati .

L’Obiettivo 8 dell’agenda delle Nazioni Unite 2030 per lo Sviluppo Sostenibile pone l’accento sulla tutela dei diritti del lavoro e la promozione di ambienti di lavoro sicuri. In materia di salute e sicurezza sul lavoro, qual è lo stato di avanzamento rispetto al raggiungimento di questo obiettivo?

Purtroppo, siamo ancora lontani da questo obiettivo. Stiamo assistendo all’azione di governi populisti e di destra che portano diversi attacchi ai diritti dei lavoratori, spesso sotto la copertura di una pandemia che in realtà rende la richiesta dei diritti dei lavoratori più necessaria che mai. Inoltre, il lavoro sta diventando sempre più pericoloso. Cifre recenti dell’OIL e dell’OMS – anche se chiaramente sottostimate perché considerano solo alcuni tipi di decesso e condizioni legate al lavoro – mostrano che almeno 2-3 milioni di persone perdono la vita a causa del proprio lavoro ogni anno. Queste sono morti evitabili. Più salute e sicurezza sul lavoro e diritti dei lavoratori più forti, incluso un maggior potere per i rappresentanti sindacali per la sicurezza sul posto di lavoro e comitati per la sicurezza che riuniscono sindacati e datori di lavoro, ridurrebbero il numero di morti che rappresentano non solo una tragedia per i lavoratori e le loro famiglie, ma anche una perdita per le imprese, le comunità e le entrate fiscali. Abbiamo bisogno di un nuovo contratto sociale, a partire da un fondo globale per la protezione sociale per garantire una rete di sicurezza per le persone nei paesi più poveri, e una nuova azione contro il debito che minaccia di travolgere questi ultimi, alle prese con la risposta alla pandemia senza adeguato accesso ai vaccini. Una situazione resa possibile da un sistema commerciale mondiale inefficace che ha portato ad un monopolio delle aziende farmaceutiche.

In che modo l’attuale pandemia ha influito sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori in tutto il mondo e come possiamo prepararci meglio a potenziali future crisi sanitarie?

La pandemia ha dimostrato che la salute e la sicurezza sul lavoro sono vitali per la vita e il sostentamento dei lavoratori, e ha dimostrato la necessità di un adeguato congedo per malattia, di una protezione sociale universale e che il COVID-19 – che sia breve e fatale o lungo e debilitante – sia riconosciuto come una malattia professionale. Soprattutto, abbiamo imparato ancora una volta che alle persone che si ammalano va sempre chiesto “che lavoro fai” e che prevenire è molto meglio che curare. Tutti i tipi di posti di lavoro, dalle occupazioni in prima linea come la sanità e l’assistenza, alla lavorazione della carne, i trasporti e l’agricoltura, hanno dimostrato di essere molto più vitali per l’economia e la società della guerra e del capitalismo, e molto più a rischio di pericoli biologici quali il virus SARS-CoV2 che causa il COVID-19. Questa volta, abbiamo davvero bisogno di imparare le lezioni impartite dalle precedenti pandemie. Dobbiamo ascoltare i lavoratori, mettere le persone al primo posto e fare della resilienza una parte fondamentale della ripresa.

Quali azioni potrebbero contribuire al miglioramento della raccolta e analisi di dati affidabili e allo sviluppo di istituti deputati al controllo della sicurezza e salute sul lavoro in molti paesi del mondo?

In primo luogo, rendere il COVID-19 una malattia professionale riconosciuta a livello globale e fare in modo che lo stesso avvenga in ogni paese. Questo non solo compenserebbe le vittime, ma promuoverebbe la denuncia e incoraggerebbe la prevenzione. Abbiamo bisogno che la sanità pubblica riconosca l’importanza delle esposizioni professionali: alle persone che mostrano sintomi o che risultano positive ai test dovrebbe essere chiesto che lavoro fanno, in modo che i focolai sul posto di lavoro siano mappati e affrontati. E abbiamo bisogno che la Convenzione 161 dell’OIL sui servizi sanitari sul lavoro sia ratificata e attuata, con il coinvolgimento dei sindacati a livello nazionale, settoriale e nei luoghi di lavoro, per garantire che i lavoratori siano protetti e che le aziende affrontino una minore assenza per malattia.

La CSI denuncia da sempre l’impatto della discriminazione sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e ha invitato a più riprese i sindacati di tutto il mondo ad organizzare attività volte ad aumentare la consapevolezza delle misure necessarie per proteggere i più vulnerabili nei luoghi di lavoro. Che riscontri avete avuto?

I sindacati di tutto il mondo hanno affrontato le sfide della pandemia in tutti i modi, ma le donne dei sindacati in particolare hanno evidenziato l’impatto della pandemia sulle donne. Sono queste ultime che hanno sopportato il peso della perdita dei posti di lavoro nel settore dei servizi, dell’assistenza ai malati nel settore sanitario e sociale, e dell’aumento del lavoro domestico durante i periodi di chiusura. Peggio ancora, c’è stato un aumento drammatico della violenza domestica in molti paesi, spesso senza un’azione governativa per fornire rimedio e assistenza: abbiamo bisogno che la Convenzione 190 dell’ILO sia ratificata e poi implementata, così come fatto dall’Italia (secondo paese in Europa a completare il processo di ratifica). Ma la disuguaglianza generata dal COVID-19 non è solo di genere. Le minoranze etniche – e in particolare i migranti – hanno sofferto a causa dei lavori che fanno, dei luoghi affollati in cui vivono, dell’emarginazione dai servizi sociali. La disuguaglianza tra paesi ha visto il mondo sviluppato, prevalentemente l’occidente e il Nord, poter contare sui mezzi economico-finanziari e sull’offerta di vaccini mentre i paesi poveri soffrono a causa di servizi pubblici indebitati, sanità logorata e lavoro informale, che costringe le persone a scegliere tra lavorare per ottenere i mezzi di sussistenza e la tutela della propria salute e dei propri familiari.

Che importanza e quale impatto potrebbe avere, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, il riconoscimento del diritto alla salute e sicurezza sul lavoro tra le Convenzioni fondamentali dell’OIL?

I sindacati hanno combattuto una brillante campagna – iniziata ben prima della pandemia – per far riconoscere la salute e la sicurezza sul lavoro come un principio fondamentale e un diritto sul lavoro all’interno dell’OIL, con la decisione finale che sarà presa a Ginevra il prossimo giugno. Ma questo sarà solo l’inizio. Dobbiamo basarci sul riconoscimento per ottenere la ratifica e l’attuazione delle convenzioni fondamentali dell’OIL sulla salute e la sicurezza (specialmente la n.155 e la n. 161), così come tutte le altre convenzioni sulla salute e la sicurezza che coprono settori e aspetti specifici del problema. Dobbiamo promuovere la salute e la sicurezza dei lavoratori sia nei paesi in via di sviluppo sia in quelli sviluppati. Dobbiamo espandere la copertura dei servizi sanitari pubblici e professionali, e dobbiamo assicurare il rispetto delle leggi e delle pratiche sulla salute e la sicurezza nelle catene di fornitura globali e negli accordi commerciali, in modo che la responsabilità in materia sia di chi ha la disponibilità e il potere per rendere possibile, finalmente, che i lavoratori siano in salute e al sicuro, ovunque essi lavorino, a prescindere dal tipo di impiego e dal loro status.

Redazione Zero Morti

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