Ambienti di lavoro sani ad ogni età. Una sfida possibile

L’Europa sta invecchiando e gli ambienti di lavoro cambiano. Non è una minaccia, ma un dato di fatto. 
Nascono all’orizzonte nuove sfide che devono necessariamente essere tenute in considerazione.

Entro il 2030, in molti Paesi, le persone tra i 55 e i 64 anni costituiranno il 30% o più della forza lavoro. Parallelamente l’età pensionabile si è alzata nella maggior parte degli Stati membri. Per molti lavoratori significa che la loro attività professionale si allunga e saranno esposti a maggiori pericoli occupazionali negli ambienti di lavoro. C’è poi la sfida dell’adattamento al mondo lavorativo in continua evoluzione. L’avvento delle nuove tecnologie e i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro a causa della Pandemia sono solo alcune delle sfide principali che donne e uomini dovranno affrontare.  

La sfida del cambiamento demografico è un problema europeo. Deve essere affrontata oggi, in maniera repentina, per farci trovare tutti pronti negli anni avvenire. Deve essere fatto perché la questione dell’invecchiamento lavorativo si pone, inevitabilmente, in relazione con la necessità di una maggior sicurezza sul lavoro. Bisogna puntare a predisporre misure efficienti ed efficaci per garantire ambienti di lavoro sani per ogni fase di vita. 

Da dove partire per garantire una vita lavorativa sostenibile e un sano invecchiamento?
Probabilmente da una valutazione del rischio sensibile alla diversità, adattando il lavoro alle singole necessità. Un cambio di rotta deciso verso un sistema produttivo che permetterebbe una distribuzione del carico in base alle possibilità consentendo un lavoro sano, sicuro, attivo per ogni età.  

È una sfida nel lungo termine, non c’è dubbio. Ma resta un modello auspicabile e possibile.
Esiste, infatti, un caso studio molto interessante da poter replicare.

In Finlandia c’è una città, Naantali, di circa 14.000 abitanti che vive principalmente durante i mesi estivi come località turistica. La cittadina, poco conosciuta, custodisce un’antica leggenda secondo cui, sotto la chiesa principale, sarebbe custodito il Santo Graal. Curiosità a parte, nel corso degli anni Naantali ha subito un forte spopolamento da parte dei giovani che hanno scelto di trasferirsi in località con maggiori possibilità lavorative.

Circa un quarto della forza lavoro rimasta aveva più di 55 anni. Era, quindi, necessario riorganizzare la realtà produttiva in funzione delle nuove esigenze e dell’età dei lavoratori. Si è pensato di predisporre un programma di passaggio delle conoscenze tra i lavoratori più giovani e quelli più anziani e di migliorare il servizio di assistenza sanitaria in convenzione. La formazione ha interessato anche l’area dirigenziale per sostenere un cambio di passo nel modello di produzione. 

I risultati di questa nuova organizzazione del lavoro sono stati sorprendenti.  
Alla fine del percorso è stata registrata una forte diminuzione delle assenze per malattie professionali e oltre il 50% dei lavoratori più anziani ha potuto beneficiare del servizio di assistenza sanitaria professionale. Il coinvolgimento nei processi di cambiamento sia dell’area dirigenziale che della forza lavoro ha permesso di ottenere risultati importanti, senza sacrificare il personale e la produzione. 

Sicuramente i lavoratori sono i maggiori beneficiari perché, finalmente, potrebbero essere meno esposti a rischi. Ma, come dimostra la cittadina di Naantali, i benefici ricadrebbero a cascata su tutto il sistema produttivo e non che, in questo modo, trarrebbe beneficio da un lato dalla forza e dalla vitalità dei giovani, dall’altro dall’esperienza e dalla lungimiranza delle persone più anziane.  

È possibile replicare questo modello anche in alcune realtà territoriali e aziendali italiane?
Assolutamente sì. In questo modo è possibile creare un sistema che va incontro alle necessità di una popolazione sempre più vecchia e spianare anche la strada alle future generazioni. Un modello ottimale di sostenibilità sociale, un patto tra generazioni.

Redazione

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