L’abito di Lorenzo

Un ragazzo di 18 anni che muore schiacciato sotto una trave d’acciaio è una sconfitta di tutti. È un dolore con cui dovrà convivere la famiglia. È un ‘martire’ per gli studenti che reclamano giustizia per lui e un sistema scolastico diverso. È un nome che non deve essere dimenticato. Perché sono tanti i morti sul lavoro. Troppi da contare ormai. Un continuo che non si ferma e non lascia tregua.

A 18 anni morire così non è giusto. Ma, diciamolo, non è giusto nemmeno a 40, 50 o 60 anni.

Lorenzo è uno di quelli che porta di più l’attenzione sul tema.
Era accaduta la stessa cosa a Luana D’Orazio, giovane mamma rimasta intrappolata nel macchinario su cui stava lavorando.

Il centro di ogni discorso che rimane sul filo della retorica è che non è giusto morire di lavoro.
Ogni società, ogni contesto storico ha avuto una sua evoluzione sotto tanti punti di vista, eppure, ancora oggi, non si riesce a tutelare ogni persona che la mattina si veste, indossa l’abito di lavoro, qualunque esso sia, ma a sera non torna a casa.

Rimane immobile con quell’abito. Rimane ferma o fermo nella condizione di lavoratrice o lavoratore. Alle volte scopriamo che aveva un figlio, una madre, una casa con il giardino. Entriamo nella sua storia privata che una volta diventata cronaca non lo è più. Non chiediamo il permesso, perché non c’è più la persona a cui chiederlo e il suo abito di lavoro viene sostituito dalla foto più suggestiva messa sui social.

Lorenzo non lo aveva nemmeno indossato quell’abito. Era solo uno studente.

Non doveva essere lì? Certamente. Doveva avere un supervisore? Come minimo. Non è giusto averlo perso così? Sicuramente. Ora cerchiamo tutti insieme il colpevole? Perché ci deve essere per forza, altrimenti la mente e l’animo non riescono a comprendere.

Il colpevole è una moltitudine però. Sono quelli che non rispettano le norme di sicurezza. Quelli che non le fanno rispettare. Quelli che controllano. Quelli che fanno le regole. Quelli che si girano dall’altra parte. Quelli che dovrebbero fare di più, ma si fermano all’essenziale. E già così siamo arrivati a migliaia di persone. Milioni? Probabile. Le responsabilità sono diffuse.

E Lorenzo si è fermato laddove doveva iniziare tutto.

Possiamo, senz’altro, discutere di quanto il sistema alternanza scuola-lavoro, modernamente ridenominata “Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento”, abbia delle falle. Lì dove l’intenzione era di inserire gli studenti nel mercato del lavoro con maggior consapevolezza, c’è stato qualcosa che non ha funzionato. E ridurre l’istruzione ad un momento di passaggio, prima di entrare nel mondo vero, è un errore. Studiare non è già essere nel mondo? Predisporre giovani al futuro è una cosa, confezionargli l’abito giusto come se fossero all’interno di un business plan non è la via adeguata.

Uno con una grande testa parlando della scuola disse: “Lo sviluppo dell’attitudine generale a pensare e giudicare indipendentemente, dovrebbe sempre essere al primo posto, e non l’acquisizione di conoscenze specializzate”.  (Albert Einstein)

Forse è il caso di ripensare un po’ di cose.

Troppo spesso parliamo di giovani. Loro sono il futuro. Loro hanno in mano il mondo. Loro lo cambieranno il mondo. Glielo auguriamo tutti, anche se il mondo che devono cambiare lo abbiamo costruito noi e ce li stiamo buttando dentro.

Diamo loro il tempo di capire chi sono. Diamo loro il tempo di guardarsi intorno, in dietro, davanti. Di girarsi in tondo, sbagliare e riprendere. Non gli facciamo indossare subito l’abito adatto, quello che chiede il mercato del lavoro e la società in generale.

Non facciamo come quel genitore che compra i vestiti sempre di una misura in più, così li sfrutta più a lungo. Loro non devono ancora far parte dell’economia.

Sicuramente, però, una cosa bisogna farla. Di sicurezza sul lavoro bisogna parlarne tanto, ovunque, a partire dalle scuole.

In questo caso non sono solo informazioni da acquisire, ma una consapevolezza della cultura della sicurezza che deve essere coltivata, annaffiata, raccolta.

Solo così l’abito da lavoro non sarà l’ultima cosa indossata in un giorno qualunque, ma tornerà nell’armadio ogni sera.

Redazione Zero Morti

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