Una sicurezza a misura d’uomo, di donna e migranti
La sicurezza sui luoghi di lavoro non è cosa per tutte e tutti. Non a caso, nei primi sei mesi del 2022, c’è stato un calo delle denunce degli infortuni sul lavoro, ma solo per la componente maschile. Per quella femminile e straniera il quadro è ben diverso. Entrambe hanno registrato un aumento del numero di incidenti mortali: da 51 a 55 per le donne, da 17 a 25 per gli immigrati comunitari e da 58 a 60 per gli extracomunitari. In realtà, sono dati che non stupiscono. È assodato da tempo che le disparità di genere, economiche e sociali plasmano anche i rapporti di lavoro.
La sicurezza delle donne
Ad esempio, già negli anni Novanta si era iniziato a dibattere sulla necessità di considerare le specificità di genere nel mondo del lavoro. Questo perché con la sua progressiva femminilizzazione, sempre più donne soffrivano i limiti di tutele a misura d’uomo. Infatti, il d.lgs n. 626/1994 per regolamentare la sicurezza sui luoghi di lavoro, era una normativa al maschile. Si rivolgeva esclusivamente ai “lavoratori”, senza rispondere alle peculiari esigenze femminili. E non solo in quanto madri.
Le novità della legge 81/2008 sulla SSL
I primi cambiamenti arrivarono su spinta europea. L’allora Comunità adottò la strategia comunitaria 2002-2006 includendo le istanze di genere negli obiettivi sulla salute e sicurezza sul lavoro. Ne seguirono importanti risvolti anche a livello nazionale. Per la precisione, il d.lgs. n.81/2008 sul Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro, all’art. 1, fece espresso riferimento alla garanzia «dell’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati». Un decisivo passo in avanti con cui il nostro paese ha preso coscienza dei fattori che rendono più vulnerabili le donne sui luoghi di lavoro.
Le cause della diversa vulnerabilità femminile sui luoghi di lavoro
Tra questi c’è il loro maggior impiego in lavori informali che spesso sfuggono a controlli e ispezioni sul piano della salute e sicurezza. Le donne sono anche la manodopera più numerosa per gli impieghi part-time, soprattutto nel settore delle vendite. Questo limita le loro prospettive di carriera e le rilega ad attività ripetitive con risvolti negativi sia sul piano fisico che mentale. Altra problematica strettamente femminile è il rischio di molestie e violenze sessuali che rientra nel più ampio tema della violenza di genere, da estirpare sia dentro che fuori dai luoghi di lavoro. O ancora, sono sempre le donne a sobbarcarsi la doppia responsabilità di conciliare professione e lavoro di cura con annesso stress e malessere psicologico. Infine, nel solco del gap salariale, per le lavoratrici emerge anche un minor accesso alla formazione e riqualificazione professionale.
I lavoratori migranti
Ma l’art. 1 del testo unico del 2008 citava anche un altro soggetto più esposto al rischio di incidenti sul lavoro: i lavoratori migranti. In tal caso i fattori in gioco sono ovviamente differenti. Innanzitutto, influisce il loro frequente stato di bisogno che li costringe ad accettare mansioni più pericolose e occupazioni irregolari. A questa maggiore tolleranza del rischio, si aggiungono le barriere linguistiche e culturali. Parlare una lingua diversa, infatti, ostacola una formazione professionale efficace e aumenta la probabilità di incorrere in infortuni. In più, non meno importante è la transitorietà del lavoro dei migranti per cui tenderebbero a spostarsi da situazioni di disoccupazione, a quelle di sottoccupazione e illegalità. Infine, la discriminazione di cui sono spesso vittime, insieme al timore di rappresaglie, rendono più complesso l’accesso a servizi e organizzazioni di tutela.
Fattori di rischio incrociati: le donne migranti
Il quadro è completo solo se si tiene conto di quei soggetti che purtroppo vedono moltiplicarsi le probabilità di incidente, dato il sovrapporsi di più cause di svantaggio. Infatti, L’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul lavoro ha elaborato dei focus proprio sullo status delle lavoratrici migranti. La combinazione di fattori di rischio le sottopone a forme di doppia o, addirittura, tripla discriminazione; specialmente nel contesto dei lavori informali e domestici. Spesso non conoscono la lingua del proprio datore, sono sotto-pagate e svolgono attività senza la dovuta attrezzatura o formazione. Non sono pochi neanche gli episodi di violenza sessuale.
Sicurezza per tutti e tutte
Perciò un sistema di protezione e prevenzione monolitico, inadatto a modularsi a seconda dei soggetti interessati è inevitabilmente fallace. Serve una normativa inclusiva ed elastica, strutturata a partire dalle specifiche esigenze di ciascun gruppo sociale, così da rendere la salute e la sicurezza sul lavoro garantita per tutti e tutte.