Rana Plaza. La più grave strage sul lavoro del nostro secolo
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- Written by Manuela Tiberi
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Il 24 aprile del 2013 un edificio, il Rana Plaza, crollò a Dacca, in Bangladesh. È difficile non ricordarselo, venne definita come la più grave strage sul lavoro del nostro secolo.
Era un enorme palazzo, Rana Plaza, sede di uffici, banche e fabbriche tessili, fornitrici di molti marchi di moda occidentali.
Un palazzo, si scoprì dopo, con una serie di irregolarità strutturali e di abusi che lo avevano reso fragile, non sicuro, inadatto all’utilizzo che ne è stato fatto, in modo particolare con i pesanti macchinari delle fabbriche.
Già da tempo erano visibili crepe strutturali, che il giorno prima del crollo si erano aggravate, portando a chiederne la chiusura e l’evacuazione immediata. Gli uffici e le banche hanno rispettato l’ordine; i proprietari delle fabbriche tessili, invece, hanno intimato alle loro dipendenti e ai loro dipendenti di presentarsi al lavoro l’indomani mattina, minacciandoli di decurtare loro un mese di stipendio.
Alle 8:45 l’edificio è crollato: sono morte 1.138 persone, altre 2.500 ferite in modo grave e nella maggior parte dei casi invalidante. Tra i morti, anche bambini e bambine che frequentavano gli asili nido aziendali.
Mai più Rana Plaza: CGIL CISL UIL insieme alla campagna Abiti Puliti
CGIL, CISL e UIL hanno organizzato, in collaborazione con la campagna Abiti Puliti, un convegno dal titolo “Mai più Rana Plaza”: un momento di confronto e riflessione molto utile anche per fare il punto su cosa sia stato fatto, a livello di normativa e azioni positive, dopo questa tragedia, in Bangladesh, sul piano internazionale e anche su quello nazionale.
È stato, in primo luogo, prezioso poter ascoltare una testimonianza diretta di chi è direttamente coinvolto e impegnato in prima persona sul territorio, il Segretario Generale del Congresso del Sindacato libero del Bangladesh, Repon Chowdhury: nonostante i progressi compiuti in questi dieci anni, ha dichiarato, il rischio significativo di morte o lesioni gravi nelle fabbriche di abbigliamento persiste.
Chowdhury ha ripercorso le diverse iniziative nazionali e internazionali volte a migliorare la situazione delle fabbriche in Bangladesh. Oltre al piano d’azione nazionale tripartito, due di queste iniziative – l’Accordo sulla sicurezza degli edifici e l’Alleanza per la sicurezza dei lavoratori del Bangladesh – sono state realizzate con la partecipazione di marchi e acquirenti internazionali.
L’accordo sulla sicurezza degli edifici
L’Accordo è stato negoziato con i sindacati ed era giuridicamente vincolante: tra le sue caratteristiche più rilevanti, l’istituzione di un organismo indipendente per condurre ispezioni antincendio e di sicurezza e il fatto di aver stabilito che sia i marchi sia i fornitori fossero responsabili di sostenere le attività di risanamento e di ripristino della sicurezza nelle loro catene di fornitura. Al contrario, l’Alleanza non era vincolante, non ha consultato i lavoratori e le lavoratrici e non ha imposto i necessari requisiti di rendicontazione per valutare in modo trasparente i miglioramenti apportati alle fabbriche delle catene di fornitura dei firmatari in materia di rischio di incendi e sicurezza degli edifici.
Anche rispetto all’accordo, il Segretario Chowdhury ha sottolineato che, negli ultimi anni, una serie di sviluppi ne ha indebolito l’attuazione: in modo particolare, l’espulsione della Fondazione International Accord dal proprio ufficio in Bangladesh e la sua sostituzione con l’RMG Sustainability Council dominato dai datori di lavoro e dai marchi, dove la voce dei lavoratori e delle lavoratrici è veramente limitata.
Inoltre, è ancora in corso la battaglia delle vittime del Rana Plaza: la questione dei risarcimenti, delle cure mediche a lungo termine, del sostegno al reddito e di altre misure di protezione sociale e giustizia legale per i lavoratori e le lavoratrici ferite e per i familiari dei lavoratori e lavoratrici deceduti è ancora una grande questione irrisolta in Bangladesh.
Chowdhury, infine, ha posto l’accento su un tema che è ritornato più volte durante il convegno, negli interventi delle varie relatrici e relatori che si sono susseguiti durante la mattinata, la centralità del ruolo del Sindacato e la necessità di tutela effettiva della libertà di associazione: “i sindacati e l’effettiva rappresentanza dei lavoratori nei comitati per la sicurezza sono fondamentali per stabilire e mantenere un sano rapporto industriale fra lavoratori e datori di lavoro e per garantire la sicurezza sia dei lavoratori che dell’industria. I marchi e gli acquirenti hanno l’obbligo di pagare prezzi equi per i loro ordinativi e di sostenere le fabbriche fornitrici affinché creino luoghi di lavoro sicuri in cui la salute e il benessere dei lavoratori siano in qualche modo prioritari e i lavoratori e le lavoratrici possano esercitare il loro diritto alla libertà di associazione senza temere rappresaglie. Questo è fondamentale per garantire la sicurezza”.
Abiti Puliti, non solo una campagna
L’accordo è stato un esempio particolarmente positivo, nell’ambito internazionale della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici, per alcune sue caratteristiche specifiche: “è vincolante giuridicamente, mette sul tavolo della governance un rapporto paritario tra sindacati e imprese e ha un corpo di ispettori qualificati e autonomi” ha spiegato Deborah Lucchetti, portavoce della campagna Abiti Puliti, che ha fornito alcuni dati importanti: “dal 2013 sono state effettuate circa 30.000 ispezioni: 1.700 fabbriche sono state poste sotto osservazione, più del 90 per cento dei problemi rilevati sono stati risolti e circa 2 milioni di lavoratori e lavoratrici oggi possono lavorare in fabbriche più sicure, anche grazie alla formazione ricevuta. Il funzionamento dell’accordo costringe i fornitori ad adeguarsi alle misure correttive, pena esclusione dal mercato di fornitura internazionale. Inoltre, l’accordo prevede un meccanismo efficace di denuncia, in modo confidenziale e protetta. Il tutto attraverso estrema trasparenza pubblica”.
Anche Lucchetti è stata d’accordo con Chowdhury nel ritenere che la sostituzione della Fondazione International Accord “solleva dubbi sulle garanzie di imparzialità e trasparenza avute finora”.
Proteggere l’accordo per il Bangladesh, che scadrà a ottobre, e dare gambe operative a quello per il Pakistan – ha affermato Lucchetti – è la sfida che abbiamo davanti. Inoltre, è importante l’estensione dell’accordo ad altri Paesi, in tempi più rapidi di quelli avuti per il Pakistan.
Lucchetti ha infine ricordato che “la lezione del Rana Plaza riguarda anche noi”. Non solo come consumatori consapevoli, ma anche perché “ci ammonisce sulla necessità di preservare e rafforzare qui in Italia l’integrità, l’indipendenza e la qualità dell’Ispettorato del Lavoro, patrimonio pubblico di competenze senza il quale, come dimostra il Rana Plaza e tutti i casi analoghi, è facile e molto rischioso cedere alle lusinghe del mercato, delegando al sistema delle certificazioni a pagamento il compito di assicurare la conformità alle leggi, senza però alcuna garanzia di salvaguardia dell’interesse pubblico e dei lavoratori”.
Il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro e la situazione italiana
E proprio del ruolo fondamentale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in Italia e della necessità di potenziarne le risorse ha parlato, nel suo intervento, anche Ivana Veronese, Segretaria Confederale UIL. Al momento, le ispezioni effettuate coprono circa il 7 per cento delle imprese censite dall’INPS: l’aumento del 20 per cento, previsto dal PNRR, porterebbe questa percentuale all’8,5, un target che non può evidentemente essere considerato un risultato soddisfacente. Peraltro, il tasso di irregolarità riscontrato è molto alto, nei primi 9 mesi del 2022 è stato dell’83 per cento. Segnale dell’assoluta necessità di un efficace e capillare lavoro di controllo e vigilanza per garantire la prevenzione.
“L’Italia non è nella stessa situazione del Bangladesh, è evidente, ma i dati sulle morti sul lavoro ci impediscono di poterci considerare un Paese civile: più di mille lavoratrici e lavoratori perdono la vita sul lavoro ogni anno e restano tantissimi gli infortuni invalidanti e le malattie professionali”.
I fronti su cui lavorare sono tanti e urgenti, secondo la UIL: la filiera lavorativa, innanzitutto, dove va evitato un eccessivo proliferare di appalti e subappalti, ma anche il controllo della precarietà che va ricondotta a una dimensione fisiologica e non patologica come è, invece, ora.
La precarietà, peraltro, significa anche una inadeguata, se non completamente assente, formazione, che è invece il primo strumento necessario per garantire salute e sicurezza sul luogo di lavoro.
Le zone d’ombra sulla sicurezza sono globali
Nonostante le evidenti differenti situazioni di contesto dell’Italia e del Bangladesh, dunque, durante il convegno sono emersi in maniera chiara due elementi precisi: in primo luogo come, soprattutto all’interno del settore della moda, le connessioni tra Paesi molto distanti tra loro, sia in termini geografici sia di situazione socio-economica, siano in realtà molto strette e le catene globali del valore ci impongono una presa di posizione informata che non può tenere conto solo di un singolo pezzetto della produzione ma deve avere chiaro l’intero processo e le relative zone d’ombra, dal punto di vista dei diritti.
Il secondo elemento, non meno importante, è il ruolo del Sindacato: la possibilità di esistere, attraverso una reale ed efficace tutela della libertà di associazione, e la sua effettiva partecipazione al processo decisionale, a tutti i livelli, da dentro le fabbriche ai tavoli governativi e internazionali. Senza il Sindacato, non può esistere sicurezza, tutela della salute, esigibilità dei diritti.
Servizio Lavoro, Coesione, Territorio della UIL