Quelli che rimangono con i fiori in mano e la morte nel cuore
Il papà e la mamma di Luana l’avevano avvertita di stare attenta. Quel macchinario non funzionava bene, già aveva avuto un piccolo incidente e la manica della maglietta si era impigliata nell’orditoio. Rimarranno con il rimpianto di non aver fatto di più.
A Luigi l’avvocato ha detto che l’azienda “non aveva considerato il rischio” e ora suo figlio non c’è più.
Per Laila il tribunale ha detto che è stato “omicidio colposo”.
Camarda è morto per il caldo e chissà se la sua salma è riuscita a tornare in Mali dalla famiglia.
Lorenzo aveva il sorriso di chi sta iniziando a vivere quando è morto.
A Francesco Paolo hanno intitolato un ponte in Calabria.
È un “dolore che si rinnova ogni volta”, dice piangendo la mamma di Mattia.
Sono loro, genitori, figli, fratelli, sorelle, nonni che finita la giornata mediatica intorno al nome dei loro cari rimangono soli, con quei fiori in mano e la morte nel cuore.
Eppure, devono ancora dolorosamente rivivere quel giorno, seguendo le indagini, i processi, le interviste. Sentendosi sempre più soli nel vuoto della perdita subita ingiustamente e nessuna carezza di conforto può avere il calore di un abbraccio che non ci sarà più.
“Lascia moglie e figli” c’è scritto sul quotidiano locale. “I cari lo piangono” si legge sulla lapide che, alle volte, riporta una data di nascita e di morte troppo vicine tra loro.
Quando muore un padre crolla il tetto di casa. Quando muore una madre crollano le fondamenta. Quando muore un figlio crolla tutta la terra.
E non è facile ricostruire qualcosa senza la terra.
Sono 1221 persone che hanno perso la vita nel 2021 e quante sono le famiglie coinvolte?
Quanti bambini cresceranno senza un genitore?
Quanti genitori invecchieranno senza i figli?
Non possiamo considerare solo i numeri. E non possiamo considerare solo le vittime. Il ritmo della vita di chi rimane diviene lento, complicato, solo.
E il loro vuoto deve diventare di tutti. La dobbiamo curare quella solitudine perché è stata creata ingiustamente sostituendo in un momento brevissimo tutto quello che c’era prima.
Le famiglie che sopravvivono ai loro cari perduti sul lavoro non devono essere lasciate sole. È una responsabilità collettiva prendersi cura di loro, creare una rete di protezione e sostenerli in ogni passaggio, da quello pratico a quello psicologico, finanche quello legale.
Una responsabilità a cui le Istituzioni non possono sottrarsi.
Quella domanda, quel “perché” troppo spesso pronunciato, urlato, soffocato da chi rimane chiede risposte, anche se non saranno mai abbastanza.
Nella foto: Anna, sorella di Mattia Battistetti, morto a 23 anni mentre lavorava in un cantiere edile a Montebelluna, il 29 aprile 2021.
Redazione Zero Morti