La sicurezza nelle nostre reti. Si può misurare la fatica di un pescatore?
I pescatori rischiano quotidianamente la propria vita a causa di naufragi, annegamenti e collisioni. Il loro mestiere è considerato tra i più duri e pericolosi al mondo. I pescatori sono esposti anche ad altissimi e molteplici rischi di salute.
È per questo motivo che la Uila Pesca ha voluto accendere i riflettori su questo particolare tema realizzando, in collaborazione con l’Ital Uil e il dipartimento di ricerca di medicina del lavoro dell’INAIL, una ricerca dal titolo “La sicurezza nelle nostre reti”.
La ricerca
Il progetto “La sicurezza nelle nostre reti” è nato nel 2015 con lo scopo di fare luce sulle malattie professionali, sui fattori di rischio che le determinano, sulle possibili misure di prevenzione tra i lavoratori del settore pesca e, infine, sulle iniziative legislative da proporre per far riconoscere il carattere usurante di queste attività ai fini previdenziali.
Per la prima volta, un’equipe di specialisti si è imbarcata a bordo di pescherecci, giorno e notte, per documentare, attraverso strumenti e metodologie all’avanguardia e con apparecchiature moderne e sofisticate, le diverse fasi delle attività di pesca e per misurarne l’impegno muscolare dei lavoratori.
Fattori di rischio
Uno degli obiettivi principali della ricerca “La sicurezza nelle nostre reti” è stato quello di mostrare quali fossero i fattori di rischio legati alle attività di pesca.
Tra i maggiori rischi si evidenziano l’esposizione alle condizioni meteo marine; le vibrazioni legate ai motori, alle attrezzature e al moto delle onde; il rumore e i fumi e gas di scarico dei motori; le radiazioni solari; i carichi di lavoro; i turni di notte; la lontananza da casa.
Altri fattori di rischio sono anche quelli relativi all’apparato neuro-muscolare e muscolo-scheletrico che, oltre alle vibrazioni e all’instabilità dell’appoggio, dipendono anche da posture incongrue, movimenti ripetuti degli arti superiori e sollevamenti manuali di carichi.
La “fatica” dei pescatori
La ricerca “La sicurezza nelle nostre reti” ha misurato, per la prima volta, la “fatica” dei pescatori. In particolar modo, è stata verificata e rilevata l’entità del rischio da sovraccarico biomeccanico. Un rischio che può comportare per gli addetti alla pesca forti disagi e patologie non riconosciuti come malattie professionali.
La misura dell’impegno muscolare è avvenuta con la tecnica della elettromiografia di superficie Wi-Fi, che registra, grazie a dei piccoli sensori applicati sui pescatori, diversi parametri utili a determinare il livello di sforzo compiuto durante le principali attività: la cernita del pesce sul pianale di poppa, il confezionamento nelle cassette, la movimentazione delle cassette, il carico e lo scarico.
Le conclusioni
La ricerca ha mostrato che i pescatori addetti alla pesca professionale sono esposti a un forte rischio per gli apparati neuro-muscolare e osteo-articolare, a livello della colonna vertebrale e degli arti superiori e inferiori.
Sono state individuate possibili misure di prevenzione per abbattere e mitigare i rischi, come ad esempio l’utilizzo di un pianale di poppa sollevabile e un nastro trasportatore per il pescato.
Lo studio fa emergere, inoltre, delle novità anche per quanto attiene le malattie professionali. Esposizione alle intemperie, instabilità dell’imbarcazione, posture incongrue, movimenti ripetuti degli arti superiori e movimentazione manuale delle cassette causano la comparsa precoce e la gravità dei disturbi osteo-articolari lamentati dai pescatori.
Quella della pesca, in sostanza, rappresenta a tutti gli effetti un’attività lavorativa usurante, tuttavia ancora non riconosciuta dalla normativa previdenziale.