Lavoratrici e lavoratori stranieri più sfruttati, più a rischio
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Le migrazioni sono un fenomeno naturale e inevitabile, specie oggi giorno quando il mondo è afflitto da pandemia, guerre e catastrofi naturali. Si parla in questo caso di migranti forzati: persone sfollate, rifugiate o richiedenti asilo che nel proprio paese d’origine rischiano la vita.
Strutturare un sistema di accoglienza efficiente e umano è quindi una priorità di tutti gli Stati che, in questa fase storica, sono terre di approdo. Un obiettivo da intendere in senso lato, comprendendo anche le condizioni di occupazione e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici migranti.
I dati INAIL
A tal proposito, continuiamo a monitorare e studiare i dati INAIL sulla forza lavoro straniera in Italia. Stando all’ultimo dossier pubblicato ad Aprile, si calcola che gli stranieri residenti siano 5,2 milioni, ossia l’8,8% del totale della popolazione. Una minoranza eterogena, composta per metà da europei, per un quarto da cittadini comunitari, per un altro quarto da cittadini asiatici e un altro quarto ancora da cittadini africani. Il loro tasso di disoccupazione è decisamente più alto di quello di cittadine e cittadini italiani (14,4% contro il 9%) e corrisponde a circa 380 mila nati all’estero senza lavoro, per la maggioranza donne.
La segregazione settoriale
La loro distribuzione nel mercato del lavoro è caratterizzata da una scarsa mobilità tra comparti. Per la precisione, il 42,2 % degli uomini è occupato nell’industria e nell’edilizia mentre il 38,2% delle donne nei servizi domestici e di cura. Perciò, all’immobilità settoriale per nazionalità, si sovrappone pure una differente occupazione basata sulla discriminazione di genere.
Nel concreto i cittadini e le cittadine lavorano come manovali, braccianti, facchini o addetti/e delle pulizie. Dunque, sono impiegati in mestieri considerati a bassa qualifica di cui costituiscono il 63, 8% della forza lavoro. Il possesso di titoli di studio non sblocca questa segregazione settoriale. Ad esempio, un terzo delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri possiede un titolo di studio più alto rispetto alle mansioni svolte. Per quanto riguarda la tipologia di contratto, tendono ad essere assunti con rapporti a termine, part-time o a carattere intermittente, sempre con una maggiore penalizzazione delle donne.
Lavoro precario, lavoro insicuro
Tenere traccia delle modalità di occupazione della popolazione straniera è il principale strumento per comprendere e prevenire eventuali rischi sul piano della salute e sicurezza. In effetti, a causa di salari medi più bassi, situazioni di irregolarità o impieghi poco qualificati e faticosi, lavorano in condizioni peggiori di quelle di lavoratrici e lavoratori autoctoni.
Sono i dati a confermare questa tesi. Entro il 31 dicembre del 2022, sono pervenute all’INAIL 564.311 denunce di infortunio registrate durante il 2021. Quelle presentate da cittadini italiani sono diminuite dell’1.4%, quelle presentate da persone straniere sono aumentate del 3.1%. Tra gli infortunati nati all’estero, oltre il 78% sono non comunitari, in crescita dell’8,4% rispetto il 2017.
Zero Morti non discrimina
I settori con il maggior numero di denunce sono quello dell’Industria e servizi, con oltre il 92% di casi. I profili più colpiti per la componente maschile sono: facchini, conduttori di mezzi pesanti muratori e addetti all’imballaggio o manovali. Corrispondono a un terzo del totale di infortuni tra gli stranieri: un’incidenza molto più alta di quella calcolata tra gli italiani impiegati negli stessi lavori, ferma al 12,6%. La maggioranza delle infortunate nate all’estero si è rilevata nel settore sanitario e nelle attività di cura retribuite.
I primi dati sul 2022, ancora provvisori, confermano un aumento degli infortuni, ma con una “crescita più evidente” sempre tra la popolazione straniera.
In sintesi, non è fattibile azzerare le morti sul lavoro, occultando il maggiore rischio di sfruttamento e infortuni delle persone immigrate. È sottrarre dall’equazione un fattore cruciale per la comprensione del fenomeno. Al contrario è essenziale attuare norme e controlli che non trascurino i maggiori rischi a cui sono esposti i lavoratori stranieri quali: retribuzioni irrisorie, violenze e molestie – frequenti nel caporalato – e assenza di garanzie contrattuali o assicurative. Lo Stato non può ignorare neanche le violazioni delle norme di sicurezza, l’imposizione di turni massacranti e le diffuse condizioni di alloggio non dignitose di cui i migranti sono vittime. Chiaramente, ogni provvedimento dovrà essere accompagnato da un’opera di inclusione che parta dalla formazione e dall’abbattimento delle barriere linguistiche e culturali.
Alla retorica della sicurezza, va contrapposto un impegno politico per un’accoglienza legale ed efficiente come prima forma di protezione dei diritti umani delle persone migranti anche sui luoghi di lavoro.