LA SICUREZZA È ANCORA UN’EMERGENZA: lo provano gli ultimi dati INAIL.

È di poche settimane fa la notizia del ragazzo di soli 22 anni rimasto folgorato mentre lavorava in uno scatolificio. L’ennesimo incidente riportato da un trafiletto di giornale e nulla più. Perché ormai rischiare la vita sul lavoro è ordinaria amministrazione. Anzi, c’è chi accoglie come un successo le “sole” 761 morti dei primi nove mesi del 2023, invece delle 790 dello scorso anno. Ci si ferma all’oscillazione statistica, dimenticando che dietro i numeri ci sono vite spezzate. 

Manca l’umanità, il buon senso come anche la capacità di analisi. Perché i dati INAIL registrano un trend tutt’altro che positivo. Nel 2022 le denunce di infortunio sono state ben 703.432, cioè 139 mila in più rispetto il 2021. In termini percentuali l’aumento è stato del 24,6 %. Le cause sono da ricondurre sia all’incremento dei casi Covid, sia alla “crescita degli infortuni tradizionali”.  Infatti, al netto delle infezioni da virus, gli incidenti sono aumentati di 68 mila casi. Il che significa che la pandemia ha reso i posti di lavoro meno sicuri, ma questi non lo erano neanche prima del contagio. 

Nello specifico, il segno più riguarda diverse categorie di incidenti. Sia gli infortuni in occasione di lavoro, che passano da 480 mila a quasi 610 mila casi, sia quelli in itinere, che passano da 94mila agli 85 mila casi. Invariati, invece, “gli infortuni per incidenti stradali in occasione di lavoro”. Secondo l’INAIL, questi numeri si spiegano con il calo del ricorso al lavoro agile. 

L’aumento delle denunce, poi, tocca quasi tutti i settori dell’Industria e Servizi. Il più alto (e triste) gradino del podio per i casi in occasione di lavoro, spetta alla Sanità e all’assistenza sociale. Dopo l’impennata registrata nel 2020, quando si erano raggiunti i 103 mila casi, in questo ambito nel 2022 gli infortuni sono stati circa 87 mila. Il 90,3% in più rispetto al 2021 quando si erano contati 45 mila infortuni. Maggiore esposizione al contagio e ritmi di lavoro stressanti sono i principali fattori del fenomeno. Altro settore in difficoltà è quello dell’Amministrazione pubblica. Anche qui, più a rischio sono “gli organismi preposti alla sanità”. Ad esempio, nelle ASL le denunce sono aumentate del 66,7%. Hanno toccato le 17 mila unità, superando le 15 mila contate nel 2020. 

C’è poi il Trasporto e magazzinaggio, ambito lavorativo dove i casi di infortunio sono passati dalle 42 mila unità del 2021 alle oltre 55 mila del 2022 (+31,8 %). Nelle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, invece, le denunce nel 2022 sono arrivate alle 20 mila unità, cioè un + 23,8% rispetto le 16 mila del 2021. Il segno meno si legge solo nei dati dei settori dell’estrazione di minerali da cave e miniere (-12,5%), dei servizi di informazione e comunicazione (-10,9%) e di altri comparti manifatturieri sotto il -10% (coke e petrolio, bevande, metallurgico, alimentare e mobile). 

La lente d’ingrandimento del genere, inoltre, rivela che l’aumento complessivo degli infortuni coinvolge in misura maggiore le lavoratrici. Infatti, per la componente femminile l’incremento è del 40,5%, per gli uomini del 15,6. 

La crescita di denunce non ha risparmiato, cittadini italiani, comunitari, extra comunitari e di qualsiasi fascia di età. In questo frangente, va però segnalato un netto aumento degli infortuni tra gli studenti inseriti in percorsi di formazione. L’analisi territoriale, infine, evidenzia che oltre il 60% dei casi del 2022 sono denunciati nel Nord ma l’andamento è crescente in tutte le aree del Paese: il Sud aumenta del 35,7%, seguito da Isole (+32,2%), Nord-ovest (+29,0%), Centro (+28,4%) e Nord-est (+12,8%).

Ancor più attenzione e spirito critico meritano i dati sugli infortuni mortali. Nel 2022 sono stati registrati 1.208 decessi. Si tratta del dato più basso dal 2018. Tuttavia, non è ammissibile sia celebrato come un successo. In primo luogo, perché lo stesso Istituto spiega che la contrazione tra 2021 e 2022 è “ascrivibile interamente” alla diminuzione dei decessi causati dall’infezione da Covid-19, passati rispettivamente da 235 a 8 casi. Rispetto al 2019 e al 2018, invece, il calo non corrisponde comunque a un azzeramento delle morti sul lavoro, l’unico dato tollerabile in un paese civile. Ma soprattutto, non sfugge all’INAIL che “al netto dei casi Covid-19, le denunce con esito mortale “tradizionali” del 2022 risultano in aumento dello 0,8%” rispetto il 2021. 

La prova matematica del fatto che, al di là delle inevitabili variazioni statistiche, l’emergenza della sicurezza in Italia non è affatto risolta. Manca un approccio sistemico a quello che è un vero e proprio problema culturale. In questo Paese è socialmente accettabile normale morire sul lavoro. Lo sconcerto lascia sempre più rapidamente il passo a una cronaca sterile. La negazione del diritto alla vita è un titolo tra tanti altri, sfogliato nell’indifferenza.

Perciò risulta vitale l’attivismo sindacale. Non a caso, l’imminente mobilitazione di UIL e CGIL rivendicherà anche la necessità di interventi immediati a tutela della salute di lavoratrici e lavoratori. Scioperi e manifestazioni romperanno il muro di silenzio sulle morti sul lavoro per chiedere al Governo una giusta manovra che investi in sicurezza. Le proposte unitarie sono urgenti quanto fattibili: più ispezioni e ispettori, l’istituzione di una procura speciale in materia e l’esclusione dai bandi pubblici delle aziende che violano le norme su salute e sicurezza. 

Non bastano comunicati di cordoglio, servono azioni mirate e concrete subito. Perché è già troppo tardi. 

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