Thyssenkrupp, la tragedia 15 anni dopo
È la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007. Un incendio nello stabilimento torinese dell’acciaieria Thyssenkrupp uccide sette operai rivelando le fragilità di un sistema industriale poco attento alla sicurezza e avido di profitti. È considerata una delle più grandi tragedie avvenute sui luoghi di lavoro. A distanza di quindici anni, la strage dei lavoratori è ancora una realtà quotidiana.
L’incidente
Dopo la mezzanotte del 6 dicembre 2007, si sviluppò un incendio lungo la linea 5 dell’acciaieria Thyssenkrupp di Torino. Le prime scintille partirono da un irregolare scorrimento del nastro contro la carpenteria metallica. Gli operai furono travolti da un’improvvisa fiammata. Una nube di fuoco alimentata da carta intrisa di olio, segatura e altra sporcizia. In sette non ce la fanno: il primo operaio, Antonio Schiavone, muore poche ore dopo. Tra il 7 e il 30 dicembre si spengono le vite di altri sei operai: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Bruno Santino. Il più giovane aveva 26 anni. Antonio Boccuzzi si salva, è l’unico superstite.
La sicurezza sul lavoro
La Thyssenkrupp è una delle più grandi multinazionali, specializzata nella lavorazione dell’acciaio, un colosso tedesco dell’industria siderurgica. Lo stabilimento di Torino era in via di dismissione. Avrebbe dovuto chiudere nel 2005. Chiusura rinviata a causa di una serie di imprevisti, tra i quali un incendio che bloccò la produzione in un altro stabilimento. Nei giorni dell’incidente l’impianto si trovava a corto di personale a seguito di licenziamenti e trasferimenti nello stabilimento di Terni e spingeva gli operai rimasti a fare straordinari pur di mantenere continua la produzione. La notte del rogo, due operai stavano facendo un turno da 12 ore, con alle spalle 4 ore di straordinario.
L’incendio della Thyssenkrupp ha svelato le inefficienze di un sistema produttivo votato al profitto e che cammina sopra le vite umane. Ha messo in evidenza la necessità di un sistema economico che deve continuare a lavorare, senza sé e senza ma. Nonostante i pericoli, i rischi, gli incidenti, gli infortuni. Andare avanti senza fermarsi mai. Mai, nemmeno davanti a dispositivi di sicurezza non a norma e davanti a macchinari manomessi.
La vita a ogni costo
A distanza di quindici anni, sulla sicurezza sul lavoro c’è ancora molto da fare. E ci sarà fino a quando continueremo a fare la conta delle morti sul lavoro. Non se ne può più. Non se ne può più di stragi sul lavoro, di famiglie straziate dal dolore, di promesse, di silenzi assordanti, delle ipocrisie di chi si indigna il giorno della tragedia e se ne dimentica il giorno dopo. Di chi lo ricorda dopo 15 anni solo per commemorarlo. Sulla sicurezza c’è bisogno di un impegno collettivo che metta al centro la vita delle persone, la propria incolumità e i diritti, la dignità. Perché la priorità non sia la ricerca del profitto, ma la ricerca della vita a ogni costo.